Il caso Truzzoli e il teorema smontato.
Stefania Truzzoli è una top manager, classe ’68, laureata con 110 e lode in Ingegneria elettronica.
Dopo aver conseguito in maniera brillante un dottorato di ricerca in telecomunicazioni, si è sempre occupata della progettazione e realizzazione delle più importanti reti di connessione italiane. Nel gennaio 2005 approda in British Telecom Italia e da giovane dirigente scala tutti i gradini della carriera, arrivando a gestire un migliaio circa di risorse umane.
In quegli anni coordina un team internazionale per ridisegnare l’intera rete di telecomunicazioni sul territorio europeo. Il suo lavoro termina all’improvviso il 26 settembre di sette anni fa quando, nel corso di una riunione, le vengono comunicate l’immediata sospensione e la revoca di tutte le deleghe e procure, come conseguenza di alcuni sommari accertamenti interni effettuati a seguito di segnalazioni anonime.
Dopo due anni di battaglie legali, l’ingegner Truzzoli ottiene una sentenza del Tribunale di Milano nella quale viene accertato il totale difetto di giusta causa nel licenziamento e si condanna l’azienda a corrisponderle i danni conseguenti.
La vicenda non si è tuttavia circoscritta al mero ambito lavorativo. Pochi giorni dopo il suo licenziamento, la Procura della Repubblica di Milano aveva infatti iscritto la Truzzoli sul registro degli indagati, sottoponendola a stringenti attività investigative. Con la conclusione delle indagini, il 5 febbraio 2019 le erano stati contestati i reati di falso in bilancio e di frode in pubbliche forniture.
Sono seguiti anni duri, di patimenti personali e professionali, che le hanno compromesso una carriera in brillante ascesa sullo scenario nazionale ed internazionale.
Da pochi giorn sappiamo che la Procura della Repubblica si era sbagliata. Lo scorso 22 febbraio, la Seconda Sezione della Corte d’Appello di Milano, su richiesta dell’accusa di seconda istanza, ha infatti decretato la piena assoluzione nel merito di Stefania Truzzoli: non aveva manipolato alcun dato in bilancio, se non altro perché non deteneva deleghe che le consentissero di occuparsi di aspetti contabili. Una storia che conferma il gravissimo stato in cui versa da tempo una giustizia incapace di condurre indagini serie e approfondite su questioni tecniche tanto ostiche, con la necessaria tutela degli indagati e garanzie di efficacia nel contrastare i reali fenomeni di criminalità economica.
Matteo Grossi
La Ragione