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DEMAGOGIE IN VETRINA

Nel nostro Paese il commercio svolge un ruolo fondamentale. Più che in altri Paesi europei, abbiamo saputo intessere una piccola e media economia di domanda e offerta basata sulla vendita diretta al cliente. In tal senso il negozio di vicinato, il mercato rionale e la bancarella hanno sempre svolto una funzione essenziale. Se in passato il commercio al dettaglio aveva quale suo centro pulsante la piazza, oggi ad attrarre clienti sono le vetrine luminose. Lì riconosciamo la fantastica capacità di produrre qualità e innovazione. Il negozio e la vetrina sono la trade union tra l’italico ingegno, il progresso economico, le amene offerte della pubblicità. Purtroppo, a differenza del passato, molti esercizi di vendita alminuto abbassano le saracinesche. Vuoi che si abbia per sola voglia e il gusto di commerciare o che i prodotti offerti più non colgano le richieste del compratore, molte vetrine si stanno spegnendo e su queste pagine abbiamo già chiarito i molti altri perché di questa tendenza. Curiosamente, durante le elezioni cittadine accade che gli stessi proprietari di quei locali, un tempo votati al commercio, affittino le loro vetrine a chi promette di farle riaprire e tornare come un tempo. Così si ricoprono di slogan politici e delle facce sorridenti di speranzosi candidati, i nuovi messia della promessa elettorale. Di rimettere in attivo le spente vetrine ci penseranno, forse, a vittoria avvenuta. Ovvio che tutto ciò, il più delle volte, non capita; e anche in tal caso non certo per le capacità amministrative dei candidati in lizza. Solite frasi scritte con accattivanti layout, fatti apposta per attirare il cittadino; nuovi motti, con facce purtroppo sempre uguali, per accaparrarsi l’elettore di turno. Spesso, i soliti nomi triti e ritriti. I giovani, e con essi le nuove idee, fanno in tal senso ancora paura. Si preferisce la politica così come finora si è espressa: quella che ha ancora favole da vendere. In una di queste vetrine s’è affacciato per primo quello furbo ossia il sindaco di Medole, nel mantovano. Ha voluto adoperare una svantaggiosa idea, utile per apparire ma anche per scomparire subito dopo: «I bambini, il 25 aprile, non canteranno “Bella ciao” perché è divisiva». E subito gli ha fatto eco il sindaco, donna, di Carmagnola. Di questi personaggi ne abbiamo le vetrine piene. Entrambi sono figli della Resistenza e non lo sanno. Diciamoglielo.

Matteo Grossi

La Ragione