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DIMINUITI I SOLDI PER I COMUNI

Investire in servizi utili fa crescere spese correnti che non si sa come coprire –

La preoccupazione che, in un futuro molto vicino, i Comuni non riescano a mantenere le opere realizzate sta diventando realtà. A scuotere gli animi dei sindaci è stato il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, con la sua idea di tagliare di 200 milioni di euro all’anno i fondi che sarebbero dovuti entrare nelle casse dei Municipi. Decisione presa per la spending review, che rischia di mettere in seria difficoltà le amministrazioni locali, in particolare quelle virtuose che hanno utilizzato i fondi del Pnrr per progetti importanti come la costruzione di asili, case-famiglia e parchi pubblici. Queste opere, pur essendo utili e necessarie per migliorare i servizi locali, comportano un aumento delle spese correnti che i Comuni dovranno dunque sostenere con risorse sempre più limitate.
A questo punto i sindaci si troverebbero di fronte a un bivio: ridurre i servizi al cittadino o aumentare le tasse locali per coprire le spese correnti necessarie a mantenere le nuove infrastrutture? È la solita storia della coperta corta: se tirata per riparare i piedi, lascia scoperta la testa. Una soluzione potrebbe essere quella di rivedere i criteri con cui vengono effettuati i tagli, per evitare di penalizzare i Comuni che stanno portando avanti progetti fondamentali per la collettività. Oppure cercare di tagliare altro: le spese improduttive potrebbero per esempio essere una buona partenza, dal momento che non generano un ritorno economico o sociale adeguato rispetto al loro costo e spesso derivano da inefficienze o da cattive gestioni. Tuttavia questo richiederebbe riforme strutturali, per poi liberare risorse che potrebbero essere utilizzate per ridurre il deficit o per finanziare settori chiave come i servizi locali, senza penalizzare i cittadini.
Il governo potrebbe poi considerare altre opzioni per ridurre il deficit. Piuttosto che tagliare i fondi ai Comuni, potrebbe cercare di ridurre gli sprechi in settori amministrativi meno essenziali o in progetti a livello statale che non hanno un impatto immediato sulla qualità della vita dei cittadini. In alcuni casi, coinvolgere il settore privato in determinati servizi o infrastrutture potrebbe alleggerire la pressione sui bilanci comunali, senza ridurre la qualità dei servizi. Anche una redistribuzione più equa dei fondi statali permetterebbe ai Comuni più in difficoltà di ricevere maggiori risorse rispetto a quelli in condizioni economiche migliori, garantendo così una gestione più sostenibi le dei servizi a livello locale.
Ci sono infine alcune categorie di spesa che il governo potrebbe ridurre. Una su tutte: le consulenze. La pubblica amministrazione sperpera spesso cifre elevate per questi interventi di professionisti esterni, alcuni dei quali potrebbero essere ridotti migliorando le competenze interne o facendo un uso più oculato delle risorse. Se le consulenze non portano risultati tangibili, rappresentano una voce di spesa evitabile.
La preoccupazione dei sindaci è quindi giustificata, poiché ridurre i fondi ai Comuni sovente significa dover fare delle scelte difficili. Il dialogo con il governo potrebbe essere decisivo per cercare di far comprendere l’importanza del ruolo dei Comuni e cercare soluzioni alternative.
Ma nessuno li ascolta.

Matteo Grossi
Scritto per La Ragione