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DIRITTO E LEGALITA’ SONO DI TUTTI

Lo sgombero effettuato e quelli che si attendono, fra centri di destra e sinistra – 

Quando si parla di centri sociali occupati l’illegalità diventa folklore. Ed è così che uno stabile milanese, occupato dal 1994 dal collettivo Leoncavallo, è diventato per decenni un’icona dell’autogestione a scapito del cittadino. Dopo 31 anni e ben 132 tentativi di sgombero rinviati, giovedì scorso la proprietà – la famiglia Cabassi – è finalmente potuta rientrare in possesso del proprio immobile in via Watteau. Niente rivoluzioni né assedi: solo un ufficiale giudiziario che, accompagnato da forze dell’ordine e legali, ha eseguito un provvedimento da troppo tempo ignorato.
Per oltre tre decenni lo Stato ha tollerato l’occupazione abusiva di un immobile privato, lasciando il proprietario impotente, salvo poi – leggete bene – essere condannato a risarcirlo con 3milioni di euro. Non perché ha favorito l’illegalità, ma perché non l’ha contrastata. Sembra assurdo e infatti lo è. Ma è anche il giusto prezzo della viltà istituzionale.
Nel frattempo, il “Leonca” – così lo chiamano i milanesi – si è trasformato in un micro-Stato dentro Milano: concerti, dibattiti, iniziative, tutte rigorosamente fuori da ogni schema legale, fiscale e amministrativo. Se un esercente o un imprenditore avesse provato a imitarli, lo avrebbero chiuso in men che non si dica. Ma se ti dichiari “centro sociale”, improvvisamente la legge diventa facoltativa.
La cultura è libertà, non arbitrio. La cultura si nutre di pluralismo, di scontri di idee, non di proprietà violate e norme aggirate. E poi Milano non è più quella degli anni Settanta, non è più il campo di battaglia tra forze dell’ordine e antagonisti, è una metropoli europea e come tale deve garantire certezza del diritto, tutela della proprietà e rispetto delle regole.
Questo sgombero, che arriva con trent’anni di ritardo, è un piccolo ma significativo passo in quella direzione.
Tuttavia, il caso del “Leoncavallo” è solo uno dei tanti. A Roma, CasaPound occupa dal 2003 un palazzo pubblico nel centro della città, in via Napoleone III, a due passi dalla stazione Termini. Da 22 anni un movimento politico gestisce uno stabile statale come se fosse cosa propria, senza titolo, senza affitto, senza imbarazzo. E anche lì, tra carte bollate e condanne penali, tutto resta immobile. Non solo non è stato eseguito alcuno sgombero, ma lo scorso dicembre CasaPound ha persino festeggiato i vent’anni di occupazione, con tanto di striscione celebrativo sulla facciata. Una provocazione? Certo che sì. Ma soprattutto una fotografia della complicità istituzionale. Il nostro è un Paese selettivo. Se sei un collettivo o un movimento con radici politiche
– di sinistra o di destra – ti si concede tutto: immobili pubblici, tolleranza, silenzio. In questa maniera le legge smette di essere uguale per tutti e appare come qualcosa di negoziabile. Non si tratta di decidere chi è più simpatico o chi più filogovernativo tra Leoncavallo e CasaPound, non è una questione di ideologia bensì di legalità. E se un gruppo vuole fare cultura, politica, aggregazione, ben venga: presenti un progetto, apra un’associazione, chieda uno spazio, paghi un canone, rispetti le norme. Nessuno ha diritto di occupare proprietà altrui solo perché ha un’idea. La democrazia non funziona mica così. E uno stato serio non tollera questo scempio per decenni.
Lo sgombero del Leoncavallo non è una vittoria di parte. È un atto dovuto. Ora tocca a tutti gli altri. CasaPound inclusa.

Matteo Grossi
Scritto per La Ragione