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FRA FIDUCIA E SEMPLIFICAZIONE

In Grecia i giovani espatriati tornano e le cose migliorano – 

L’aria fresca che si respira ad Atene dovrebbe renderci invidiosi. Dovremmo guardare con rispetto chi ha vissuto un tracollo economico e ha saputo rialzarsi senza tante storie. La Grecia, quella stessa Grecia che fino a poco tempo fa veniva descritta come incubo dell’Europa, oggi assiste al ritorno di molti dei suoi cittadini e lavoratori emigrati. Non è la nostalgia del mare o della moussaka a riportarli indietro, ma un segnale chiaro fatto di politiche serene e concrete: uno sconto fiscale del 50% per chi rientra dopo sei anni dall’estero e una semplificazione della burocrazia.
In pratica, il governo ha ridotto le tasse per chi torna e ha alleggerito le procedure amministrative, eliminando moduli e sportelli perditempo. Inoltre ha reso più semplice il riconoscimento dei titoli professionali e accademici, permettendo a chi ha competenze di tornare senza dover ricominciare da capo. È stato facile e indolore. Hanno tolto ostacoli invece di aggiungerne, facendo capire a chi vuole tornare che non deve chiedere il permesso ma sentirsi il benvenuto.
Anche l’Italia ha messo in campo politiche simili se non più generose: sgravi fiscali più alti, requisiti meno rigidi, benefici che durano più a lungo. Eppure chi vive all’estero spesso non si fida poiché da noi il rientro non è vissuto come una priorità nazionale, ma come un favore che lo Stato fa – con sufficienza e qualche modulo da compilare – a chi decide di tornare. Lo dimostra l’assurdo meccanismo dei riconoscimenti dei titoli di studio, che costringe medici formati all’estero a passare un calvario burocratico prima di poter esercitare. Lo dimostra l’inerzia con cui affrontiamo il nodo delle carriere universitarie, ostaggio di concorsi blindati e logiche clientelari. E lo dimostra, più di tutti, la percezione che i giovani hanno del Paese: un luogo che non investe su di loro, considerandoli un costo anziché una risorsa.
In Grecia il rientro è diventato una sfida nazionale. E questo accede pur sapendo che gli stipendi sono ancora più bassi dei nostri, i servizi pubblici faticano, il benessere generale è inferiore, ma cresce e si sente. Aumentano i salari, diminuisce il costo del debito, migliora la fiducia. È l’idea di un percorso in salita che spinge le persone a tornare, non un eterno presente stagnante.
La verità è che in Italia il problema è ancora una questione individuale. Abbiamo incentivato il rientro, ma non abbiamo mai davvero desiderato il ritorno. E quando lo abbiamo fatto è stato con uno spirito paternalista, come se lo Stato fosse il salvatore di chi torna, non il responsabile della fuga. Gli sgravi fiscali non bastano se chi torna trova un mercato del lavoro ingessato, un’amministrazione ostile e un sistema che continua a premiare l’anzianità più del merito.
Dovremmo prendere esempio dai greci, che – pur partendo da una posizione di svantaggio – hanno avuto il coraggio di semplificare, eliminare ciò che era superfluo e ridurre la burocrazia. Continuare a distribuire bonus a destra e a manca, senza una visione a lungo termine, approvare leggi senza renderle più chiare e concrete, e parlare di futuro senza agire sul presente non ci porterà né fortuna né benessere. Urge quindi uno Stato che sappia creare le condizioni affinché chi ha talento trovi una strada aperta. Abbiamo bisogno di liberare le energie, senza incanalarle secondo i criteri ministeriali. Serve, in una parola, una visione. Quella che la Grecia, almeno per ora, sembra aver scoperto.

Matteo Grossi
Scritto per La Ragione