Con un grandioso ritardo pluriennale s’accorgono che in Rai c’é l’azzardo –
Il dibattito sollevato dal senatore Gasparri sulla trasmissione “Affari Tuoi” fa saltare i nervi a molti: l’uso dei soldi pubblici per finanziare un programma che, secondo il sociologo Maurizio Fiasco, riproduce meccanismi comuni del gioco d’azzardo. La critica non dovrebbe però limitarsi a un allarme sul rischio ludopatia: è infatti clamoroso che il canone pagato dai contribuenti venga usato per mettere in onda un format che premia la fortuna anziché il merito, copiando su una rete pubblica ciò che un tempo Mike Bongiorno faceva con successo su televisioni private ma senza pesare sulle tasche dei cittadini.
Maurizio Gasparri, non un novizio del Parlamento, ha ricoperto incarichi di governo e può vantare un’esperienza politica lunga decenni. Tuttavia, sorprende che si accorga soltanto ora (dopo le denunce del sociologo Fiasco) della natura discutibile di un programma come “Affari Tuoi”. In politica la coerenza è un valore raro e indispensabile e chi in passato ha avuto responsabilità importanti nella modifica del sistema televisivo pubblico non può chiamarsi fuori quando vengono a galla alcune deformazioni.
In un Paese che fatica a premiare talento, coraggio e grinta, destinare risorse pubbliche a un game show che alimenta l’illusione dei facili guadagni è un errore culturale prima ancora che economico. La Rai, finanziata dai contribuenti, dovrebbe avere come missione la promozione di contenuti che elevano, informano e ispirano, non che incoraggiano una visione distorta della vita, dove il successo sembra dipendere da un “pacco’ fortunato piuttosto che dal lavoro e dalla competenza. Il servizio pubblico – che in un’ottica liberale può essere assicurato anche da un soggetto che pubblico non è – dovrebbe almeno distinguersi dalle logiche delle reti commerciali, non copiarle.
Come poi evidenziato dal giornalista Gian Antonio Stella, la scomparsa della parola “azzardo” dal contratto di servizio fra il governo e la Rai è un segnale che preoccupa. Tuttavia, il punto non è soltanto quello di regolamentare o di censurare ma di chiedersi perché chi paga il canone (obbligatorio) di abbonamento debba finanziare un programma televisivo che potrebbe tranquillamente trovare posto su una rete commerciale privata. I soldi pubblici dovrebbero essere investiti in ciò che genera valore aggiunto: istruzione, ricerca, innovazione e cultura. Non in spettacoli che, per quanto popolari, alimentano una mentalità lontana dai principi di responsabilità individuale e merito.
Se la trasmissione di Antonio Ricci riesce a sollevare questioni di interesse pubblico con maggiore efficacia dei telegiornali della Rai, allora è giunto il momento di ripensare il ruolo dell’emittente di Stato.
Non si tratta di demonizzare la trasmissione condotta da De Martino ma di pretendere che le risorse pubbliche vengano usate per promuovere un modello di società che premia quanti s’impegnano. Scommettere sulla fortuna e sulla lotteria, con i soldi di tutti, è certamente un ‘pacco’ che gli italiani non meritano.
Matteo Grossi
Scritto per La Ragione