Per alcuni studenti sostenere un esame scritto alla maturità sarebbe superfluo, tanto d’aver lanciato una petizione su change.org. Il tema invece è un esercizio mentale troppo importante, soprattutto perché serve a svelare il proprio carattere
Ogni ministro sogna di lasciare il segno. Quelli all’Istruzione tirano sempre in ballo la possibilità di cambiare la scuola e con essa il metodo di studio, incuranti del segno che potrebbero lasciare agli studenti.
Ma il fatto che da decenni la scuola italiana sia un cantiere dove i lavori sono sempre aperti è già di per sé un brutto segno. Vedremo se il ministro all’Istruzione Patrizio Bianchi si piegherà alla leva studentesca che su change.org scrive di trovare «ingiusto e infruttuoso andare a sostenere un esame scritto in quanto pleonastico, giacché i professori curricolari, nei cinque anni trascorsi, hanno avuto modo di toccare con mano e saggiare le nostre capacità». Per costoro il tema è superfluo, superato.
È pur vero che i laureati italiani sono richiesti in tutto il mondo e che le nostre università continuano a produrre grandi menti, ma, se guardiamo le fasce più giovani, la situazione si aggrava: più di un terzo dei ragazzi non ha un bagaglio alfabetico sufficiente. Le riforme del ministro vanno dalle classi pollaio fino al nuovo contratto per i docenti; inoltre lo stesso vorrebbe fare della scuola il centro pulsante del Paese.
Più che pulsante lo vorrei pensante, per poter rimediare al disagio giovanile dei nostri giorni: come è possibile che si dicano venti parole dove cinque ne basterebbero o cinque dove ce ne vorrebbero venti? Il dono di sintesi, inveterata virtù, è in questo caso un campanello d’allarme a cui si sarebbe dovuto rimediare da tempo. La situazione peggiora con gli studenti che ripetono a pappagallo perché un’idea propria da elaborare non ce l’hanno.
A questo si rimedia leggendo e scrivendo. Il tema in classe è uno strumento troppo importante per poterlo cancellare solo perché a richiederlo è un manipolo di studenti. Il tema come esercizio mentale è sempre stato utile e formativo. Oltre a essere un modo per ottenere silenzio da chi è al di là della cattedra, consente anche di evadere senza alzarsi dal banco: si possono esprimere fantasie, gioie e paure.
Fortunato chi, davanti al foglio ancora in bianco, si sente sotto pressione nel sapere che l’insegnante prima o poi lo correggerà caracollando attraverso le lacune della sintassi, dell’ortografia e del lessico. Serve a svelare il nostro carattere, soprattutto a mostrare uno stile e una punteggiatura che sono unici, personali e irripetibili.
Oscar Wilde scrisse: «Tutta la mattina ho lavorato su una poesia per togliervi una virgola, poi ho lavorato tutto il pomeriggio per rimettervela». Aveva fatto dell’eccentricità un pregio assoluto, non raccontandola ma scrivendola, e questo è un bel segno.
Matteo Grossi
LA RAGIONE