Pirandello e la sua adesione al fascismo –
Saranno 90 anni domani. Era il 9 novembre 1934 quando Luigi Pirandello ricevette a Roma il telegramma con cui Per Hallström, segretario permanente dell’Accademia di Svezia, gli comunicava l’avvenuta assegnazione del premio Nobel per la letteratura. La motivazione del riconoscimento sottolineava il modo in cui aveva saputo esplorare la complessità della psiche umana e l’illusione della realtà attraverso tecniche innovative, quali la ‘teatralità del teatro’ e la frammentazione dell’identità. Fu per il nostro Paese un momento di grande orgoglio. Benché il premio rappresentasse il riconoscimento internazionale del suo contributo innovativo al teatro e alla letteratura, la sua vittoria fu vista in maniera deplorevole a causa del suo appoggio al regime fascista. L’iscrizione al partito sollevò polemiche sia tra i suoi colleghi scrittori che all’interno dell’Accademia svedese, i cui membri valutarono tuttavia che la qualità della sua opera letteraria superasse di gran lunga le considerazioni politiche.
E interessante come, attraverso le dinamiche delle ‘maschere’, Pirandello sembri aver anticipato alcuni aspetti della politica attuale, dove l’apparenza conta spesso più della sostanza. Ebbe perfettamente ragione: molti politici – non tutti per fortuna – oggi indossano ‘maschere’ diverse a seconda del pubblico, del mezzo di comunicazione e delle circostanze. Si adattano e si trasformano per piacere a gruppi di elettori specifici, alternando posizioni e retoriche a seconda del contesto. Il concetto di ‘maschera’ manifesta dov’è difficile capire la vera natura di un leader e le sue intenzioni, dato che queste cambiano costantemente.
Tuttavia anche Pirandello ne indossò una: la sua adesione al fascismo avvenne per necessità e convenienza, senza entusiasmo né passione o ideologia, quanto per coltivare un futuro per il suo lavoro artistico, cercando forse di adattarsi a un contesto che era diventato quasi inevitabile.
Questa adesione gli permise di ottenere i fondi e il riconoscimento per fondare la sua compagnia teatrale (il Teatro d’Arte di Roma) e dare vita ai suoi progetti. La ‘maschera’ del fascista fu insomma per Pirandello un bisogno sociale e artistico, più che il frutto di un reale convincimento. La sua ambiguità nei confronti della politica e il suo distacco dalle ideologie lo portarono a vivere questo ruolo in modo pratico, ma senza convinzione.
Tornando ai giorni nostri, non sarò io a dirvi quali siano i politici odierni che indossano maschere pirandelliane. È sufficiente vedere chi adatta la propria identità pubblica per rispondere alle aspettative di diversi elettorati. Sugli scranni del Parlamento, come su un palcoscenico pirandelliano, si muovono identità e ruoli mutevoli, spesso discordanti, che si adattano assiduamente alle circostanze e ai nuovi scenari.
Matteo Grossi
Scritto per La Ragione