CERTIFICATI SENZA SPORTELLO
“L’ufficio Anagrafe esce dal Comune ed entra nel self-service” era il titolo che riportava un quotidiano veronese del secolo scorso. Era il 1989 e il soggetto in questione si chiamava Certimat. Utilizzando un tesserino magnetico, tipo bancomat, presso venti sportelli sparsi per la città, si ottenevano in pochi secondi fino a diversi certificati. L’allora sindaco di Verona, Gabriele Ugo Sboarina, fu lungimirante nell’agevolare i propri cittadini, tanto che il servizio fu all’epoca unico in Italia, sia per l’aiuto concreto offerto all’utenza sia perché la tecnologia nostrana resisteva a qualsiasi intemperia, fosse pioggia, umidità o semplice sbalzo di temperatura. Prodotto italiano: Olivetti. Per il Comune i vantaggi dell’iniziativa consentivano in un’ottima economia di gestione con risparmi di centinaia di milioni (di lire) ogni anno, nel recupero del 50% del personale impiegato nel servizio di certificazione e, cosa più importante, nello snellimento delle code davanti agli uffici comunali.
Lunedì scorso abbiamo applaudito l’Anagrafe nazionale della popolazione residente (Anpr), non tenendo però conto del suo imperdonabile ritardo. Pazienza, lo spieghiamo qui. Spezzo da subito una lancia a favore dello Stato per un semplice motivo: sotto accusa ci devono finire i Comuni rei di aver ritardato, per due anni, i dati necessari alla sua introduzione. L’Anpr nasce con l’intento volontario di connettere più Comuni al progetto interattivo, allo scopo di aiutare i cittadini ad ottenere online i certificati loro necessari. Per questo occorreva che il personale addetto all’anagrafe svolgesse un attento lavoro preventivo: immettersi nella sfera familiare di ogni utente al servizio, accertarsi della veridicità dei dati, eventualmente correggerli, così da inviare gli stessi al Ministero degli Interni. Quest’ultimo ha pure contribuito al progetto versando un contributo di mille euro a ciascun piccolo Comune. Meglio di nulla, comunque bastevole a premiare il lavoro svolto.
Non so quanti Municipi abbiano finito o iniziato il lavoro. Di certo, solo due Comuni della Regione Lombardia hanno fatto nascere vari dubbi. Ci sono o ci fanno? Ne aggiungo uno io: se una parte del Governo è impegnata in questi giorgine far rientrare i dipendenti pubblici dallo smart working, in modo che gli impiegati tornino agli sportelli, per quale motivo un’altra parte del Governo stesso si dà così tanto da fare perché non sia necessario recarsi fisicamente agli sportelli? Vabbè, a parte questo, da quel sindaco di Verona si poteva imparare prima.
Matteo Grossi
LA RAGIONE