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QUELLO PER I SINDACI FUNZIONA

Non si ribaltano i risultati cambiando il sistema elettorale –

Nel 1993 il nuovo sistema elettorale per i sindaci segnò un confine tra due stagioni della politica italia-na. Tale riforma interveniva per sanare la situazione di instabilità amministrativa nella quale si trovavano molti Comuni, ma anche per porre un freno alla crisi di credibilità in cui erano incappati i partiti della cosiddetta prima Repubblica a partire dal 1989 e, in seguito, con lo sfacelo politico arrecato dalle inchieste giudiziarie di Tangentopoli. Tuttavia quel cambio di passo fu concepito quale modo necessario per riavvicinare i cittadini alle istituzioni. Il fatto che oggi sia il sistema elettorale più longevo – e giudicato favorevolmente sia dai partiti che dai candidati e dai votanti – è la dimostrazione che ha funzionato bene garantendo da ben trentun anni stabilità, governabilità e alternanza.
Però, come dice il proverbio, «quando la volpe non arriva all’uva dice che è acerba». È esattamente questa la metafora che mi è rimbalzata nella mente dopo aver ascoltato le dichiarazioni di Ignazio La Russa successive alle elezioni amministrative di domenica scorsa: «Il doppio turno non è salvifico, anzi incrementa l’astensione. A volte viene addirittura eletto sindaco chi ha meno voti assoluti di quanti ne ha avuti l’avversario al primo turo. E inaccettabile, quindi occorre ripensare la legge elettorale per le amministrative».
Il centrodestra appare in gran forma, ma si spompa alla seconda e ultima prova. Se gli elettori non si presentano alla seconda convocazione non è certamente per colpa del sistema elettorale. Non mi meraviglia che a fare un’affermazione del genere sia l’esponente di un partito, ma mi sorprende molto che arrivi dal presidente del Senato, la seconda carica dello Stato, Il ruolo dovrebbe fargli avvertire una certa responsabilità perché svolge una funzione di garanzia democratica. E perlomeno inelegante quindi scagliarsi contro la legge elettorale con cui vengono eletti i sindaci.
Perché quando una forza politica non ottiene i risultati desiderati, subito dopo tenta di modificare il sistema elettorale nella certezza di conseguire risultati migliori? Quello previsto per i Comuni è semplice e chiaro: si votano i candidati, i due che hanno preso più voti vanno al ballottaggio e, in seconda battuta, vince chi prende più preferenze. E chi vince governa per cinque anni. Se poi alla fine del mandato avrà amministrato bene, potrà richiedere agli elettori la riconferma. Altrimenti verrà mandato a casa.
Chissà per quale motivo nel Belpaese tutto ciò che funziona dev’essere modificato. Più che provare a cambiare le regole dopo aver perso la partita, il centrodestra dovrebbe studiare il sistema per poter giocare al meglio con quelle che ci sono. Da lunedì scorso chi l’ha fatto veste la fascia tricolore.

Matteo Grossi
Scritto per la Ragione