La mancanza di connessione tra i proclami e le scelte –
La politica non ha dimenticato il merito, lo ha inserito nel nome del Ministero dell’Istruzione e poi lo ha volontariamente rinchiuso nella stanza dell’oblio. Il merito, quella sana virtù indice di crescita ed eccellenza che i costituenti inserirono nella Carta settantasei anni fa.
Nel cercarlo – all’articolo 34 (comma 2) della Costituzione – dovremmo poi rincorrerlo e applicarlo per il bene di tutti, dal momento che i meritevoli in cerca di successo si trovano in ogni angolo d’Italia. Ciononostante non vengono nemmeno presi in considerazione. Del merito si preferisce parlarne senza citarlo, abbuiandolo invece di illuminarlo. È l’unico strumento utile e importante per aprire le porte di una nuova società dimodoché da una posizione sfavorita si possano raggiungere ottime posizioni sociali.
Potrebbe sembrare un nuovo mondo, come quello che fu per l’Inghilterra quando – nel 1870 – l’istruzione fece entrare la meritocrazia. Abolì il clientelismo facendo diventare regola inflessibile l’entrata per concorso nella pubblica amministrazione. Oggi possiamo confermare che a casa nostra è successo (e sta accadendo tuttora) esattamente il contrario: certi posti pubblici si occupano se si hanno le conoscenze giuste. L’assenza di meritocrazia ha creato questa nostra società appunto come la vediamo: statica e immutabile, che ostacola gli abili perché popolareschi e senza garanzie. Praticamente ha accorciato di alcuni gradini la scala sociale per cui la salita è più corta soltanto per chi è corto di cervello. La politica ne è un esempio concreto dacché i parlamentari si dividono in due categorie: ci sono quelli svantaggiati, che si confrontano macinando chilometri in campagna elettorale, cercando i voti per poter essere eletti e far valere le proprie idee; e ci sono i nominati, che se ne stanno sereni perché – oltre a non aver idee – sono garantiti dai listini bloccati. In Italia la maggior parte delle persone è spaventata dal confronto, non intende misurarsi. E questo ha avvelenato ogni terreno che percorriamo tutti i giorni. È una faccenda che la dice lunga, che si dovrebbe curare, perché dimostra che da soli non vogliamo raggiungere nessun traguardo.
Nel privato ce la caviamo in modo differente. Prendiamo per esempio l’eccellenza nel mondo lavorativo, la Ferrari. Nessuno immagina che la casa del Cavallino possa mai assumere un racco-mandato per fargli svolgere lavori per cui non ha competenza, neppure se ad appoggiarlo fosse la persona più autorevole di Maranello o l’uomo più influente d’Italia. Si sa bene che la perfezione si raggiunge affidandosi al merito e non alla raccomandazione. Quando si vuole mandare qualcuno nello Spazio, ci si affida a ingegneri aerospaziali con la competenza, la preparazione e i risultati più alti in assoluto. E vale anche quando cerchiamo un avvocato: nessuno si farebbe mai difendere da un legale che si è procurato una laurea perché gli è venuto più facile aprire il portafogli anziché i manuali di diritto.
Urge che la politica si cambi d’abito. E, nel farlo, ci auguriamo che non dimentichi di vestire il merito. Che non è un accessorio, ma il capo più importante da indossare.
Matteo Grossi
Scritto per La Ragione