La protezione di chi in pericolo deve essere una spesa statale –
La legge del Codice Rosso – fortemente voluta da Giulia Bongiorno (Lega) con il concorso dell’allora ministro della Giustizia Alfonso Bonafede (M5S) – è una normativa introdotta nel 2019 con l’obbiettivo di combattere in maniera più efficace la violenza domestica e di genere, garantendo un trattamento prioritario e rapido per le denunce di maltrattamenti, stalking, violenza sessuale e altri simil reati. Prende il nome dall’espressione utilizzata in ambito medico per indicare le emergenze gravi che richiedono un intervento immediato. Nonostante i suoi obbiettivi ambiziosi, la legge – specialmente in queste ore – sta ricevendo parecchie critiche. In particolare, l’attenzione si è spostata sul fatto che l’urgenza e la rapidità delle procedure non sempre vengono accompagnate da risorse sufficienti per rendere operanti le misure protettive.
Il caso di Carlantino, nel Foggiano, sta facendo discutere molti sindaci italiani. Da oltre un anno, a mettere le risorse necessarie per difendere una mamma e i suoi quattro figli dalle cattive intenzioni del marito non è lo Stato bensì il Comune. La casa rifugio nella quale viene assistita la famiglia ha un costo di 375 euro al giorno (circa 140mila euro l’anno). Una cifra enorme per un Comune di 956 anime che già si trova in una situazione finanziaria alquanto precaria. Sebbene il marito si trovi in Sudamerica – e quindi non in condizione di arrecare danno alla propria famiglia – l’autorità competente ha comunque deciso di mettere in pratica il Codice Rosso. E ad aggravare la situazione arriva la beffa: dato che i Piani di Zona (strumento che la legislazione indica per l’attivazione di una rete di servizi integrati in ambito sociale) non garantiscono la copertura delle spese e la Regione Puglia si è totalmente disinteressata al caso, il Comune in questione si trova ora sotto l’occhio della Corte dei conti e deve giocoforza entrare nel programma di riequilibrio finanziario.
L’esasperazione ha portato il sindaco a indirizzare una dura lettera alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, al ministro per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità Maria Roccella, al ministro della Giustizia Carlo Nordio, al presidente della Regione Puglia Michele Emiliano e al prefetto di Foggia Maurizio Valiante.
Nella missiva si legge che se nelle prossime settimane non riceverà risposte dagli enti preposti, il primo cittadino sarà costretto a dimettersi, chiudendo il Municipio per assoluta mancanza di fondi.
Questa storia assomiglia molto a quella dei minorenni mantenuti dai Comuni a 130 euro al giorno nelle Case di accoglienza. Ne abbiamo scritto molto su queste pagine e restiamo sempre della stessa idea: la mano che toglie dev’essere anche la mano che paga. Visti i precedenti, l’unica certezza per il Comune carlantinese è che il debito accumulato dovrà essere pagato oppure – presto o tardi – lo Stato bloccherà i conti del Municipio per prelevare direttamente le somme dovute. Si chiama prelievo forzoso ed è l’assillo di ogni sindaco perché impedisce ogni nuovo investimento. La mano che toglie, in questi casi, è anche la mano che prende.
Matteo Grossi
Scritto per La Ragione