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SERVE CAPACITA’ E NON SOLO SPESA

Il personale delle amministrazioni pubbliche è invecchiato e scarsamente informato –

Affinché nelle nostre città ci possano essere innovazioni e trasformazioni, dobbiamo poterci avvalere di un elemento fondamentale che al momento arranca: il personale qualificato e aggiornato della Pubblica amministrazione. Mai come in questi anni, gli Enti locali – e soprattutto gli uffici dei piccoli e medi Comuni – sono sotto pressione per carenza di organico. È mancato l’avvicendamento della forza lavoro mediante nuove assunzioni in grado di compensare l’uscita di coloro che hanno cessato il loro rapporto, forse a causa del blocco di nuovi ingressi voluto all’epoca da Mario Monti (per arginare l’eccessiva spesa pubblica). Però oggi ci troviamo nella condizione che il 19% dei dipendenti della Pubblica amministrazione è nella fascia che va dai
55 ai 59 anni, con un 14% in quella compresa tra i 60 e 64 anni.
Sono molti i giovani che partecipano ai concorsi pubblici, ma si misurano con i medesimi requisiti che venivano richiesti vent’anni fa. Quindi, una volta entrati al lavoro, si sentono spaesati perché hanno una formazione oramai sorpassata e inutile, se pensiamo che la sfida da vincere riguarda lo sviluppo nazionale che deve giocoforza passare dalle loro capacità.
In questo momento non siamo in grado di competere con gli altri Stati e neppure di vincere certe sfide. Si galleggia su un mare di soldi e si utilizza la burocrazia quale strumento per garantirsi e non annegare. Duole dirlo, a metterci davanti alla realtà dei nostri ritardi è stato proprio il Pnir.
Lo sbaglio che si è sempre fatto è quello di mal concepire il significato della parola “innovazione”. Questo termine è stato utilizzato sempre e soltanto per il mondo digitale eppure sarebbe utile pensarlo e adoperarlo per innovare sia le organizzazioni sia le competenze, avendo come priorità l’inserimento di nuove figure per gestire – nel modo più moderno possibile – un’ amministrazione più a portata di mano per il cittadino.
Solo in questo modo sarà possibile restituire dignità al lavoro di quei dipendenti pubblici che ogni giorno lavorano per la difesa e il rispetto del bene comune.
È ormai divenuta una consuetudine etichettare l’ufficio pubblico come un luogo pieno di perdigiorno, incapaci di lavorare per il bene comune, attaccati alla goccia che ogni mese cade dentro il loro conto corrente e con l’unico pensiero del posto fisso. Per anni la storia ci è stata raccontata così dai media, per poi esser così compresa dalla maggior parte dei cittadini: un esercito di dipendenti demotivati e appiattiti dalla burocrazia.
Chissà se riusciremo, un giorno, a cambiare questo luogo comune. Ma per farlo dobbiamo incominciare a cambiare i concorsi pubblici.

Matteo Grossi
Scritto per La Ragione