«Sono nato a Cavallasca, in provincia di Como, sul Monte Sasso, a quota 490 metri sul livello del mare e sono lungo 52 chilometri. Gli antichi romani, che di opere idrauliche erano dei veri intenditori, decisero di deviarmi verso Milano. Poi, negli anni, quelli intelligenti decisero di intubarmi sottoterra». Se il Seveso potesse parlare si presenterebbe così. Questo fiume è una sentenza, ma non è colpa sua. In 48 anni è riuscito a esondare 118 volte. L’ultima il 30 novembre scorso. Sei ore di esondazione hanno messo a mollo tre quartieri, bloccato la metropolitana e stazioni ferroviarie, lasciato circa 3mila famiglie senza elettricità e abbattuto decine di alberi. Con 31 millimetri di pioggia in un’ora, il Seveso è straripato al ritmo di 70 metri cubi al secondo in tubi che ne portavano al massimo 40. E dire che il Comune di Milano deve ancora completare il Piano anti-esondazioni che prevedeva anche la realizzazione di una vasca di laminazione. Un’opera il cui costo stimato è di 170 milioni di euro. Poca cosa.
Però dobbiamo spiegarla tutta fino in fondo: a leggere le tabelle ufficiali del Ministero dell’Economia e di Palazzo Chigi, la somma stanziata negli ultimi anni per proteggere il Paese da queste calamità si attesta sui 21 miliardi di euro. Peccato poi che la spesa sia ancora ferma al 6%. Nel frattempo lo stralcio dai fondi del Pnrr di diversi progetti ci conferma che quei cantieri, in grave ritardo, hanno oltrepassato i limiti imposti dall’Unione europea.
Matteo Grossi
Scritto per La Ragione