Tevere balneabile e annunci inumiditi –
Entro cinque anni potremo fare il bagno nel Tevere. Lo ha annunciato il sindaco di Roma Romano Gualtieri all’Expo 2025 di Osaka, durante l’evento dal titolo “La città eterna accoglie il futuro”. E qui, inevitabile, nella mente di ogni romano è risuonata una frase scolpita nella memoria collettiva. Quella del sindaco interpretato da Carlo Verdone che con disarmante sincerità domandava ai suoi elettori: «Ma sto fiume ve piace o non ve piace? Ce serve o non ce serve? Perché se ce serve allora io lo voglio vivere, lo voglio navigare, ce vojo pure fa’ er bagno. Ma se non ce serve (e io dico che non ce serve…) levamolo, sotteramolo, prosciugamolo!»
Ecco, più o meno siamo li. Il sindaco Gualtieri, però, non vuole levarlo né sotterrarlo. Anzi, vuole rilanciarlo per renderlo vivibile e persino balneabile. Assicura che il traguardo è assolutamente realizzabile e pure più economico rispetto al modello Senna, perché – parole sue – «a Parigi erano messi peggio». E intanto annuncia un tavolo di lavoro con Ministero e Regione per coordinare interventi e investimenti. Tutto bello. Ma anche tutto già sentito. Perché Roma è maestra nel far partire i progetti con i tamburi e farli finire con un violino stonato. Ricordate il “Grande raccordo anulare verde”? O il bike sharing che avrebbe dovuto rivoluzionare la mobilità? E che dire delle piste ciclabili finite a metà marciapiede, interrotte da cassonetti e motorini parcheggiati? Ecco: Roma è la città dei progetti eterni, più eterni perfino delle sue rovine.
Il Tevere nel frattempo resta così com’è: affascinante ma abbandonato, mitico ma malato. Intendiamoci, questo fiume potrebbe essere una risorsa straordinaria, potrebbe essere ciò che la Senna è per Parigi o il Tamigi per Londra. Tuttavia oggi, più che un’oasi di balneazione, è un corso d’acqua dove galleggiano sogni e plastica e nel quale riposano vecchi rottami. Basta leggere il parere della Società italiana di medicina ambientale, che avverte: fra batteri, metalli pesanti e pesticidi, il Tevere è ancora pericoloso per la salute umana. Altro che bagno: servirebbe un Tso per chi ci si volesse tuffare. E allora tomiamo al Verdone-sindaco: «Se ce serve, io ce vojo fa’ er bagno!». Bene. Ma per arrivarci non bastano le conferenze e i comunicati stampa. Servono investimenti veri, controlli severi, una gestione urbana del fiume che oggi semplicemente non esiste. Perché dire che «in alcuni giorni già sarebbe balneabile» è un po’ come sostenere che in alcuni momenti il traffico sulla tangenziale è scorrevole. Come sempre, il rischio è che il fiume venga tirato in ballo solo quando serve un annuncio a effetto. Non è la prima volta che un sindaco sogna un Tevere diverso. Vent’anni fa Francesco Rutelli lo immaginava come una promenade europea. Veltroni sognava i “darsenotti” e i locali galleggianti. Alemanno parlava di riqualificazione delle banchine. Marino annunciava una «cura del fiume» che avrebbe dovuto cambiare il volto della città. Risultato? A distanza di decenni i romani possono fare sì una passeggiata, ma fra rifiuti e sterpaglie, mentre il fiume scorre marrone sotto i muraglioni. Eppure il Tevere, nel bene e nel male, è Roma. Non è un accessorio, non è un tema di marketing urbano: è l’anima liquida della capitale. Lo hanno cantato poeti e scrittori, lo hanno attraversato eserciti e pellegrini, lo hanno guardato papi e imperatori. Se oggi lo riduciamo a fogna a cielo aperto o a promessa elettorale, significa che abbiamo smarrito il senso del nostro rapporto con la città stessa.
Matteo Grossi
Scritto per La Ragione